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Dieta con il significato di “stile di vita”, un concetto che abbraccia non solo l’aspetto dell’alimentazione ma anche il rapporto personale con l’attività fisica e le abitudini giornaliere. Il nostro stato nutrizionale infatti è influenzato da tre variabili, due, già citate, che possiamo cambiare come alimentazione e attività fisica. Ne esiste una terza che non è mutabile ma influenzabile, quella che è stabilita dal nostro patrimonio genetico che resta la stessa per tutta la nostra vita.
Allargando appunto il concetto di dieta allo stile di vita di tutti i giorni non è più possibile limitarne l’applicazione solo ad una fase in cui si decide di voler perdere peso spesso seguendo indicazioni poco salutari. Infatti, è sempre più evidente come la nostra alimentazione e le nostre abitudini influenzino il nostro benessere sia nel breve che nel lungo periodo e che uno stato di malnutrizione, sia in eccesso che in difetto, è il risultato non di un singolo evento ma la somma di più comportamenti protratti nel tempo.

Nella maggior parte dei casi all’idea di dieta si associa il voler perdere peso ma anche questo concetto è fuorviante se non è analizzato con i giusti punti di riferimento. Il peso di per sé fotografa lo stato nutrizionale con ben pochi dettagli. Un atleta o uno sportivo molto muscoloso avrà un indice di massa corporea (BMI) elevato ma non per questo indice di uno stato nutrizionale deficitario.
Il dimagrimento è un processo che prevede l’abbassamento della percentuale di grasso corporeo e non solo del peso in assoluto. Una dieta dimagrante efficace è il risultato del giusto bilanciamento tra una dieta equilibrata e l’aumento della richiesta energetica dovuto ad una maggiore attività fisica. Ne risulta che prendere il peso corporeo come unico punto di riferimento è fuorviante.
Per valutare correttamente lo stato nutrizionale e quindi di salute di un individuo è necessario che vengano misurate la massa grassa e la massa magra e la circonferenza della vita, indice diretto del grasso viscerale, parametro importantissimo per la prevenzione di diverse patologie.
Quindi ogni persona dovrebbe avere la sua dieta, indipendentemente dalla necessità di dover dimagrire o meno: una dieta personalizzata che possa adattarsi alle esigenze e alle abitudini giornaliere, modificando quelle scorrette, introducendo il giusto apporto calorico anche il base al tipo di attività fisica svolta, strutturando la giusta ripartizione tra gli alimenti e infine integrando tutti questi aspetti con le informazioni genetiche che oggi possiamo ricavare facilmente.

Il punto di partenza è la dieta mediterranea, un concetto di alimentazione che è stato introdotto nel dopo guerra dal biologo americano Ancel Kyes che ha studiato i modelli alimentari del bacino mediterraneo, tra cui quello italiano e quello greco, che si basano sul consumo di cereali, frutta, verdura, olio di oliva, pesce, carne e latticini. Kyes studiando le abitudini alimentari di diversi paesi nel mondo ha poi riportato nel suo lavoro (Seven Country Study) come la dieta mediterranea abbia benefici sulla longevità e sulla salute.
Dalle molteplice differenze che possiamo trovare nelle abitudini alimentari di popoli così diversi come quelli che si affacciano sul mar mediterraneo sono stati delineati alcuni principi che comuni che rendono l’alimentazione mediterranea così salutare: l’utilizzo di cereali, frutta e verdura giornalmente, uova e pesce più volte alla settimana e il limitare la carne specialmente quella rossa per una ripartizione giornaliera dell’energia dai carboidrati del 55-60%, 25-30% invece da proteine e lipidi.

Quindi una dieta personalizzata che parte da un’idea comune di salute e benessere, senza ricorrere a diete iperproteiche che hanno il solo vantaggio di perdere peso velocemente ma porta i grossi svantaggi inducendo la chetosi e caricando gravosamente reni e fegato.
La dieta mediterranea come punto di partenza da cui poi elaborare una dieta personalizzata in base alle esigenze di ognuno, sia lavorative che di tempo. Cosa, quanto e quando mangiare sono variabili che possono cambiare notevolmente in base ad ognuno di noi e non solo, per ognuno le esigenze cambiano a seconda della fase della vita che stiamo affrontando.
Per una donna la richiesta energetica e qualitativa dovuto agli alimenti in gravidanza è molto diversa da quella durante l’allattamento o quella in post menopausa. Allo stesso modo l’alimentazione di un neonato cambia molto rapidamente a seconda dell’età: l’allattamento, lo svezzamento e poi la crescita fino alla maturità sono fasi molto dinamiche che richiedono cambiamenti nell’alimentazione che possano aiutare lo sviluppo in modo completo. Allo stesso modo un anziano ha esigenze diverse da quelle di un adulto non ancora in fase senile.
Un primo livello, quello di partenza, è strutturato sulle basi della dieta mediterranea su cui poniamo le basi per poter strutturare una dieta personalizzata.

A questo livello possiamo parlare di alimentazione come prevenzione, un mezzo per vivere più a lungo, ritardare l’invecchiamento e recuperare o mantenere il proprio stato di benessere. Il rischio relativo di sviluppare aterosclerosi aumenta in presenza di obesità, diabete ed eccesso di colesterolo. L’ipertensione arteriosa è fortemente influenzata dal consumo di sale e dall’eccesso ponderale. Il diabete di tipo II è causato da una errata alimentazione che causa insulino-resistenza andando ad attivare i fattori di apoptosi delle cellule beta del pancreas. Per ridurre i rischi di osteoporosi non è sufficiente aumentare l’introito di calcio ma è più efficace avere uno stile di vita attivo.
Infine, alimentazione come prevenzione verso i tumori. Il consumo di cereali integrali aumenta la funzionalità del colon, limitare la carne soprattutto quella rossa, usare olio extra vergine d’oliva come condimento, mangiare giornalmente almeno cinque porzioni tra frutta e verdura ricche in antiossidanti.
Non si può andare oltre senza un’analisi antropometrica che prevede la misurazione di peso, altezza, misurazione della massa magra-grassa, dell’indice scheletrico, dell’idratazione corporea e della circonferenza della vita non si può avere un quadro reale dello stato nutrizionale.

Queste misurazioni permettono di valutare sul come intervenire e cosa cambiare delle abitudini alimentari. Riuscire a dividere correttamente l’assunzione giornaliera delle calorie permette di ottenere gli obiettivi che vengono stabiliti dopo la valutazione antropometrica. Per i soggetti in eccesso ponderale si valuta quanto si deve perdere in assoluto, sia come percentuale di grasso sia come peso, e si stabilisce l’introduzione di nuove attività se necessario. Per i casi di malnutrizione in difetto si stabilisce un’alimentazione che aiuti a riprendere peso fino ad un valore che si possa considerare non a rischio.

A questo livello possiamo introdurre anche le variabili dovute all’attività fisica. Per i soggetti sovrappeso/obesi e sedentari si consiglia una fase iniziale di movimento che dev’essere rapportata allo stato ponderale. Una persona obesa difficilmente potrà cimentarsi nella corsa, per cui è consigliabile una prima fase in cui si aiuta la motilità come delle passeggiate giornaliere. Per chi pratica sport a livello amatoriale ma costantemente si deve valutare il tipo di disciplina svolta e la frequenza dell’impegno.
Sport di lunga durata come la corsa di fondo, il ciclismo o il nuoto di fondo hanno esigenze dovute alla durata dell’attività molto diverse da chi pratica sport di squadra come pallacanestro, pallavolo, calcio o sport individuali come tennis. Sia che si svolga un’attività amatoriale, sia agonistica che da professionista un’altra variabile che influisce sull’alimentazione è la fase della stagione. Nel periodo di preparazione la percentuale di proteine che possa sostenere la formazione di nuove fasce muscolari è alta, mentre durante la stagione agonistica è importante approcciarsi sia ai singoli allenamenti ma soprattutto alle gare mangiando nei tempi e nelle quantità ideali.

Infine, un terzo livello di valutazione è dato delle analisi dei geni coinvolti nel metabolismo. Da una parte è giusto sottolineare che una dieta non equilibrata può comunque fare danni anche se impostata sui dati ottenuti da queste analisi genetiche, dall’altra è giusto anche sottolineare che queste analisi non sono equivalenti alle intolleranze che tanto sono di moda.
Le intolleranze sono reazioni del nostro organismo che però non sono mediate dalla produzione di anticorpi diretti contro l’alimento o parte dell’alimento. Questo meccanismo è proprio delle allergie che prevedono una dieta ad esclusione come soluzione per non innescare reazioni pericolose come lo shock anafilattico.

Le intolleranze certificate ad oggi sono solo due: l’intolleranza al lattosio e l’intolleranza al glutine o celiachia. La celiachia ha una predisposizione genetica ma può essere diagnosticata solo dopo analisi anticorpali specifiche e biopsia dell’intestino con conferma dell’atrofia dei villi. In questa caso la presenza del glutine innesca una reazione con la produzione di anticorpi che attaccano l’intestino causandone l’atrofia con sintomi prevalentemente gastrointestinali. Avendo la celiachia una base genetica è possibile analizzare il sistema HLA per verificare la presenza o l’assenza degli alleli specifichi del disturbo. Il test genetico infatti serve a confermare o meno la predisposizione alla celiachia.
Analogamente il test genetico per l’intolleranza al lattosio da informazione sull’effettiva attività dell’enzima deputato a scindere il lattosio per l’assorbimento anche in età adulta. La presenza di alcune varianti ci confermano la possibile intolleranza al lattosio.
Tutti le altre analisi per le intolleranze, che siano i test sul capello, i test citotossici o similari non hanno riproducibilità quindi non hanno valore scientifico. Quello che è emerso negli ultimi anni invece è la presenza di alcuni geni che influenzano alcuni processi del nostro metabolismo.
Ad esempio, un gene implicato nell’espressione dei recettori della vitamina D ci aiuta a capire se serve un’integrazione di vitamina D o e sufficiente quella che normalmente assumiamo con un’alimentazione equilibrata.
Allo stesso modo sono state scoperte varianti geniche che influiscono la capacità detossificante cellulare e la predisposizione all’infiammazione. Queste informazioni sono importanti per valutare l’integrazione con omega 3, olio d’oliva o le crucifere per abbassare l’azione infiammatoria dovuta al cibo e per limitare la produzione di radicali liberi.

Metabolismo del colesterolo HDL e LDL, assorbimento della vitamina B12, della colina, del calcio e della vitamina C sono aspetti che hanno anche influenze genetiche per cui si può adattare una dieta anche secondo questi parametri. Anche per gli sportivi è possibile analizzare la predisposizione per la formazione di muscolatura bianca o rossa per poter finalizzare al meglio l’allenamento.
Quindi si passa dal concetto d’intolleranza che abbiamo visto non avere fondatezza scientifica tranne nei casi di celiachia e intolleranza al lattosio, al concetto d’idoneità alimentare, il risultato dell’analisi combinata tra le caratteristiche genetiche individuali con le caratteristiche di prevenzione e terapeutiche degli alimenti. A seguito di un analisi corretta dei disturbi di un individuo a dalle patologie riscontrate è possibile quindi impostare un’alimentazione che possa essere la più idonea possibile, focalizzando l’attenzione sugli alimenti che possono risolvere il disturbo ed eliminando anche solo temporaneamente quelli non idonei.

Abbiamo visto come la dieta non è più solo un concetto che si può applicare a chi vuole perdere peso ma dev’essere intesa come delle linee guida da seguire per stare in salute e benessere. Dalle regole più generali fino alle indicazioni più personali conservate nel codice genetico di ogni individuo queste indicazioni non possono che essere valutate in sinergia senza che una prevalga in assoluto sulle altre.
In questa direzione il rapporto personale con il cibo va oltre il semplice alimentarsi. L’aspetto fisico nella sua concezione estetica e non come valutazione del benessere e della salute può essere preso come punto di riferimento per la valutazione personale e nel rapporto con gli altri con il risultati a volte di distorcere la realtà innescando meccanismi di compensazione che possono poi sfociare in disturbi come anoressia, bulimia e gli altri disturbi del comportamento alimentare.
Oltre ad un intervento che ponga rimedio a situazioni di deficit nutrizionale dopo attenta analisi delle abitudini e dopo valutazione dello stato ponderale è necessario l’affiancamento di uno psicologo per iniziare un processo di ritorno ad una normalità sia percettiva che di salute.

Il ruolo del Biologo Nutrizionista

Una dieta personalizzata nasce dalla necessità di mantenere o recuperare uno stato di salute ottimale. Perdere o riprendere peso, cambiare le abitudini alimentari e non solo, correggere eventuali errori che possono nel lungo periodo causare disturbi è possibile attraverso l’analisi delle abitudini alimentari e delle misurazioni dello stato ponderale e della massa grassa tramite plicometro o bioimpedenziometro.
Tramite la pianificazione di una dieta si decidono gli obiettivi e le tempistiche entro le quali raggiungerle. Il percorso di recupero prevede dei controlli mensili per valutarne l’andamento e per attuare eventuali correzioni. Questi controlli non possono essere fatti esclusivamente in base all’andamento del peso ma devono essere ripetute tutte le valutazioni prese al basale.
Durante la dieta vengono utilizzati strumenti come il diario alimentare utili alla valutazione sia di chi sta seguendo la dieta sia per l’esperto che valuta l’aderenza ad ogni controllo.

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