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“Ho bisogno di te”

«Che cosa vuol dire addomesticare?»

«E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare legami!”»

«Creare legami?»

«Certo», disse la volpe, «Tu, fino a ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo».

(Antoine de Saint-Exupery, Il piccolo principe)

 

Nel suo libro, Il piccolo principe, Saint-Exupery impiega il termine “addomesticare” per riferirsi a quella situazione in cui il “prendersi cura”  significa creare legami affettivi, fino a far nascere in ciò che si è addomesticato il bisogno di qualcuno e considerarlo unico per sé.

 

Il bisogno di una persona che possa prendersi cura di noi sottende, talvolta, la paura dell’abbandono. Il tema dell’abbandono tocca le corde dell’anima perché nega il soddisfacimento di un bisogno fondamentale per l’uomo: il bisogno di stare all’interno di una relazione affettiva, bisogno che appartiene al nostro patrimonio genetico ed è presente fin dalla nascita.

 

Cosi il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:

«Ah!» disse la volpe, «…piangerò».

«La colpa è tua», disse il piccolo principe «io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…»

«E’ vero», disse la volpe.

«Ma piangerai!», disse il piccolo principe.

«E’ certo», disse la volpe.

 

La paura dell’abbandono consiste nella paura di vivere nella solitudine, senza avere nessuno che possa prendersi cura dell’altro. Si sperimenta, in maniera molto intensa e costante, la paura di poter perdere la persona amata  (“addomesticata”) e di rimanere privi di qualsiasi legame affettivo.

 

Nello specifico, la mente è governata dalla costante convinzione che, in qualsiasi momento,  la persona amata possa abbandonare il campo della relazione lasciando un vuoto pieno di solitudine.  Questa convinzione porta a vivere il legame affettivo con determinate modalità relazionali: le emozioni vengono manifestate in maniera intensa e si adottano dei comportamenti che, sebbene vengano messi in atto per favorire l’avvicinamento, portano ad allontanare la persona amata.

 

La paura dell’abbandono può essere scatenata da eventi che possono essere reali (lutti, traslochi, divorzi) oppure che possono essere frutto di uno specifico lavoro mentale (fantasia che la persona amata sia interessata ad altre persone, sperimentare i comportamenti dell’altro come abbandonici, ecc.). In generale, nelle persone predisposte a sviluppare questa paura,  qualsiasi situazione in cui si possa percepire una reale o presunta rottura del legame affettivo potrebbe scatenare la paura dell’ abbandono.

 

Rispetto alla predisposizione a sviluppare una tale paura, gioca un ruolo di fondamentale importanza l’ambiente affettivo e relazionale di crescita. In particolare, la paura dell’abbandono potrebbe portare con sé la storia di un’infanzia  caratterizzata da un ambiente affettivo emotivamente instabile e segnato da perdite e abbandoni. L’importanza dell’ambiente affettivo e relazionale è dimostrata dal fatto che le persone con una predisposizione biologica potrebbero non sviluppare la paura dell’abbandono se la propria infanzia è stata caratterizzata da relazioni affettive sicure e stabili.

 

Il percorso terapeutico porta a riconoscere e ad accogliere il proprio disagio facendo emergere emozioni, sentimenti, pensieri e riflessioni che, in tal modo, possono essere rielaborati in modo funzionale al benessere della persona stessa. In altre parole, porta a riempire il “vuoto della solitudine” di contenuti che possono poi essere portati nella relazione con l’altro.

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