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Disturbo Ossessivo Compulsivo: vivere nel dubbio

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è caratterizzato da un continuo susseguirsi di un dialogo interno che non ha risposte certe e per tale motivo sono per il soggetto fonte di ansia e incertezza che vengono contenute attraverso strategie di controllo.

Una persona affetta da DOC per esempio continuerà a domandarsi più volte al giorno se ha spento il gas, ha chiuso la macchina o ha mandato quel messaggio importante; queste fonti di dubbio costanti e estenuanti vengono controllate attraverso dei comportamenti rituali che intrappolano il soggetto nel circolo vizioso.
È molto importante fare una lista delle compulsioni e delle ossessioni dei pazienti con disturbo ossessivo compulsivo, tuttavia è importante non soffermarsi ad essa ma analizzare il vissuto, ovvero i pensieri, i sentimenti e i comportamenti, del singolo paziente. I temi principali che emergono dall’esperienza del disturbo ossessivo compulsivo il voler sentire e voler essere normali, il rapporto di amore-odio con il DOC e il non riuscire a vivere a causa di esso.

I pazienti molto spesso trovano conforto nelle terapie di gruppo, che gli permettono non solo di incontrare altre persone, ma persone che hanno proprio gli stessi vissuti. Il DOC infatti interferisce abbondantemente nella vita dei pazienti per quanto riguarda lo studio, le loro carriere e le loro relazioni e spesso queste persone percepiscono la propria vita come bloccata in uno stallo mentre differentemente la società continua a vivere nella normalità. Un esempio di quanto possano essere dolorose e approfondite le situazioni create dal DOC è costituito da un uomo che, abitando in una casa con dei coinquilini, prima di poter usare il bagno tutti i giorni doveva lavarlo per più di un’ora con il prodotto di pulizia più igienizzante in commercio. Nonostante la rilevanza derivante da queste situazioni le persone affette da disturbo ossessivo compulsivo manifestano una intensa paura nell’abbandonare le proprie abitudini patologiche.

La terapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale è considerata il trattamento per eccellenza: dapprima i pazienti svolgono un percorso di gestione dell’ansia attraverso la psicoeducazione, successivamente attraverso l’exposure and response prevention (ERP, l’esposizione e prevenzione della risposta) vengono esposti a stimoli ansiosi, come il precedentemente citato dubbio di aver chiuso la macchina, e si chiede al paziente di tollerare lo stato di ansia che è stato indotto dall’incertezza senza mettere in atto rituali e comportamenti compulsivi. La terapia cognitivo comportamentale si avvale di diverse strategie, quali:

  • interventi di psicoeducazione: attraverso percorsi guidati vengono fornite al paziente nuove modalità di lettura dei suoi pensieri e dei suoi stati d’animo;
  • tecniche di esposizione: ovvero la scelta di paziente e terapeuta di procedere per step graduali nell’affrontare gli eventi e le situazioni temute, in modo da potersi confrontare con le paure temute nei differenti contesti, solitamente partendo dal meno fastidioso e procedendo verso il più spaventoso;
  • eliminazione delle componenti di controllo: i comportamenti di controllo e tutte le situazioni messe in atto per evitare l’evento temuto (evitare certi luoghi, lavare spesso le mani) possono diventare talmente abituali da risultare automatici. Spesso sono proprio questi comportamenti di controllo a convincere i pazienti a chiedere aiuto;
  • ristrutturazione cognitiva: strategia attraverso il quale vengono identificati e discussi i pensieri che mantengono attiva la sintomatologia ansiosa, come per esempio la tendenza a catastrofizzare o le convinzioni di pericolo in merito ad un evento spiacevole.

È molto importante seguire il paziente e guidarlo in questo processo, poiché l’incertezza potrebbe produrre una diminuzione della fiducia del soggetto in sé stesso e nelle proprie capacità, soprattutto mnemoniche, inducendo sempre di più il paziente a maggiori dubbi che producono quindi continue ansie e nuove strategie di controllo. Creare una buona alleanza terapeutica per affrontare il disturbo è importante per effettuare un esame della narrazione delle esperienze del paziente, utile per ridurre il senso di stigma sociale e personale che percepisce.

Il disputing del disturbo ossessivo compulsivo

Gli ossessivi compulsivi vivono con idee dalle quali non riescono a distogliere il pensiero; si considerano responsabili per qualsiasi tipo di evento negativo sul quale possano avere anche un piccolissimo potere di influenza nel prevenirlo e/o nel determinarlo. Come è stato già detto in precedenza, il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo prevede l’analisi della componente comportamentale attraverso l’analisi di esposizione e prevenzione della risposta (exposure and response prevention, ERP).

A caratterizzare la patologia ossessiva sono due elementi principali.
Il primo è rappresentato dalle vere e proprie idee ossessive, i pensieri e le idee che la persona affetta da questo disturbo vive come estranee e intrusive e i cui contenuti considera senza senso e totalmente estranei al proprio sistema di valori; tuttavia percepiscono queste idee come incoercibili e, per quanto si sforzino, non riescono a evitare di fare questi pensieri.
Questi pensieri si impongono nella loro mente senza che loro ne abbiano volontà o possibilità di controllo; inoltre, si ripetono continuamente occupando totalmente lo scenario mentale di questi pazienti. Il secondo elemento sono i comportamenti compulsivi, ovvero quei comportamenti ripetitivi e quelle azioni mentali che il paziente si sente in obbligo di mettere in atto in risposta all’idea ossessiva. Questi comportamenti seguono delle regole rigide e sono agiti allo scopo di ridurre o prevenire il disagio che può scaturire da alcuni eventi o situazioni temute, se non il completo evitamento di tali situazioni. Inoltre, questi comportamenti e azioni mentali sono eccessivi oppure sono collegati in modo completamente irrealistico rispetto al timore che deve essere neutralizzato o prevenuto.

Di conseguenza, anche l’ERP è caratterizzato da due elementi principali. Questi elementi sono l’esposizione alla situazione temuta, che viene rappresentata nell’idea ossessiva, e la prevenzione della risposta, questo caratterizzato dalla completa astensione dal comportamento compulsivo. Gli elementi di esposizione e prevenzione della risposta sono, come è ovvio, strettamente collegati tra di loro; infatti non è possibile esposizione senza prevenzione della risposta. In effetti le compulsioni si caratterizzano proprio per la loro illusoria funzione di prevenzione dell’incontro del paziente ossessivo con la situazione temuta; alcune di esse possono anche avere un legame pratico e sensato con le loro ossessioni, come per esempio la compulsione di lavarsi le mani che evita il timore della persona di sporcarsi e di contaminarsi. Invece, la maggior parte dei rituali agisce grazie alla logica del pensiero magico, come per esempio l’idea che compiere una sequenza definita di comportamenti mi permetterebbe di evitare di ammalarmi, di evitare una certa malattia o di non compiere una certa azione malvagia. La situazione temuta infatti può essere sia un danno concreto (come appunto l’esposizione allo sporco o ad un agente contaminante) oppure, secondo la teoria cognita clinica di Paul Salkovskis, una credenza cognitiva di esagerata responsabilità (anche detta inflated responsibility).

I pazienti ossessivo compulsivi si considerano responsabili per qualsiasi evento di tipo negativo sul quale possano esercitare anche solo un remotissimo potere di influenza, sia per quanto riguarda la responsabilità nel determinarlo sia per quanto riguarda quella nel prevenirlo. In considerazione del fatto che è sempre possibile trovare una piccola connessione tra gli eventi, per gli ossessivi diventa possibile in qualsiasi momento scoprire anche solo una remotissima spiegazione, talvolta anche di natura bizzarra, che possa interessare la relazione tra sé e l’evento.
Il senso di responsabilità estremo delle persone affette da DOC non riguarda esclusivamente le azioni ma anche le eventuali omissioni; per questo motivo non sforzarsi al massimo delle proprie possibilità per prevenire un determinato evento equivale ad essere ad essere responsabili ugualmente per aver omesso di intervenire.
Questo senso di responsabilità eccessiva rappresenta il primo aggancio con la parte dell’intervento puramente cognitiva, ovvero il disputing delle idee ossessive. Infatti, nel disputing si può esordire con la domanda “Di quale problema vogliamo parlare?” perché si può adattare sia alle idee ossessive sia alle compulsioni e permette al paziente di valutare quale problema per lui è più importante e per lui deve avere la precedenza. Qualora il problema principale riguardi le idee ossessive solitamente la catena di pensieri negativi è orientata verso la terribilizzazione.
Prendiamo per esempio che un paziente dicesse “Quando cammino insieme a mio padre a volte mi viene in mente di colpirlo” oppure “Se ho in braccio mio figlio piccolo talvolta mi viene in mente che potrei sbatterlo contro il muro”. In questo caso il processo cognitivo che sostiene queste idee è la cosiddetta fusione pensiero-azione. Questo concetto è stato studiato da Rachman che ne ha sottolineato l’importanza, in quanto in questa modalità di pensiero il fatto vero e proprio di pensare determinati azioni significa automaticamente metterle in atto oppure assumersene la responsabilità. Pensare ad una possibile disgrazia che possa capitare al proprio padre o al proprio figlio significa aumentare le probabilità che questa si verifichi o piuttosto di essere responsabile del fatto che questo evento si possa realmente accadere; questo perché per il semplice fatto di averlo pensato automaticamente aumentano le possibilità che questo evento si verifichi rispetto al non averlo mai pensato. Un altro esempio in questo senso è rappresentato dal fatto di pensare di aver investito qualcuno mentre si guida l’auto, pensiero al quale l’ossessivo compulsivo attribuisce lo stesso valore rispetto all’averlo realmente fatto poiché vive con la credenza che “pensare una cosa corrisponde ad averla fatta”.

Un altro tipo di timore è caratterizzato dall’avere pensieri blasfemi o dal pensare bestemmie; in questi casi la qualità mentale delle preoccupazioni del paziente ossessivo è ancora più eclatante. La bestemmia mentale, più che un timore di un evento negativo, rappresenta proprio qualcosa di negativo da evitare.
La persona ossessivo compulsiva pretende di avere il controllo assoluto dei propri pensieri e tenta, in modo irrealistico, di non pensare quelli cattivi. Per queste persone la responsabilità dal punto di vista morale che deriva dal pensare qualcosa di cattivo è la stessa che deriva dall’aver compiuto o dal non aver fatto niente per evitare l’azione o le conseguenze di un evento. La fusione pensiero-azione in tal modo rappresenta una estensione del pensiero magico. La risposta del paziente affetto da DOC a cosa potrebbe accadere in conseguenza dell’aver pensato una cosa è immediata. Infatti, il fatto che potrebbe succedere qualcosa non è un problema di per sé, perché il semplice fatto di averla pensata prova già il fatto che quella situazione accadrà.

I parametri che bisogna valutare sono la tollerabilità del fatto e la reale probabilità che questo si verifichi. Se riprendiamo l’esempio di fare del male al proprio bambino è chiaro che non è consigliabile pensare di poter tollerare di fare del male al proprio bambino, bisogna essere molto cauti in queste situazioni. Il paziente ossessivo compulsivo, infatti, può riferire di aver già messo alla prova quanto siano alte le probabilità che un’azione si verifichi, spesso attuando dei comportamenti bizzarri.
Con questo tipo di pazienti è opportuno valutare che il pensiero non è azione, ma è un contenuto puramente mentale; è quindi necessario comprendere insieme al paziente se pensare qualcosa ha lo stesso significato di pensare di volerlo fare, tanto meno di farlo davvero.
Tuttavia, prima di affrontare questo passaggio è opportuno liberarsi delle compulsioni.Occorre partire dal mettere in discussione l’utilità delle compulsioni, poiché il paziente è convinto che sono mettendole in atto riuscirà a tenere sotto controllo i pensieri ossessivi, e poi dovrà prendere consapevolezza del fatto che solo l’astensione da essere permetterà il proseguimento del trattamento. Infatti, la compulsione spesso arriva al punto di essere talmente automatizzata da far dimenticare al paziente la ragione per la quale la mette in atto.
Il paziente ossessivo compulsivo, infatti, crede erroneamente che non attuando la compulsione si sente a disagio e che solo quel rituale ha la sensazione di provare sollievo e che i suoi timori non si avvereranno. Durante questo passaggio, più che rassicurare il paziente, è essenziale fargli capire che questo è originato da una sua idea erronea e che l’evitamento di una situazione non è determinata dall’attuazione dei rituali.

Conclusione

In conclusione, si può dire che in tutti i tre casi descritti, ovvero che il circolo vizioso tra ossessioni e compulsioni sia nullo (sto bene se lo faccio), magico (non accade l’evento se lo faccio) o logico agli occhi del paziente (non corro il rischio di contaminarmi se mi lavo le mani), si usa il metodo dell’exposure and response prevention (ERP).
Prescrivere l’astensione della compulsione e analizzare la base emotiva dei sintomi sia del contenuto ossessivo che di quello compulsivo sono i passaggi alla base del disputing. È importante far accettare al paziente che deve tollerare e superare il malessere legato all’ossessione e all’astensione dalla compulsione.

Il passaggio fondamentale del disputing con il paziente ossessivo compulsivo è sempre lo stesso per tutti, ovvero affrontare, comprendere ed eliminare tutte le possibilità concrete negative impossibili o altamente improbabili e successivamente accompagnare il paziente verso l’accettazione di un livello di dolore morale o frustrazione significativo e intenso, ma che non è mai veramente insopportabile. Il trattamento ha l’obiettivo di riformulare in termini di sopportabilità della sofferenza e trasformazione dell’etichetta “catastrofica insopportabile” per tutti gli eventi o le idee ossessive che devono essere vissute non più come negativi ma come sopportabili.

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